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Abbiamo già trattato in questo sito delle nuove regole
per la “disattivazione”, ma, purtroppo, ogni volta che si
rileggono, non possiamo fare a meno di porci ulteriori interrogativi.
La finalità principale della normativa sulle armi è quella di poter
conoscere, da parte delle Forze di polizia, chi sia in possesso
di armi e dove vengono detenute, in modo da permettere tempestivi
interventi, anche in caso di presunto abuso.
Questa finalità è stata perseguita dal legislatore anche per mezzo di
sanatorie, che si sono susseguite nel corso degli anni, così da
incentivare la denuncia del maggior numero di armi da sparo.
Ma, oltre questa modalità di regolarizzazione, limitata nel tempo, con
l’art. 20 della L.110/75, si è voluto dare la possibilità permanente di
legittimare le armi rinvenute dal cittadino.
Comunque, se da una parte lo stesso legislatore ha cercato di fornire
gli strumenti normativi per facilitare la denuncia del maggior numero
di armi, invece, da parte delle Forze di polizia, che dovrebbero
rendere esecutive tali norme, si denota una certa resistenza,
vanificando così la finalità della normativa.
Infatti, non mancano le testimonianze di coloro che si sono trovati in
difficoltà nella legittimazione di armi rinvenute, anche quando siano
certamente appartenute a parenti defunti, con disconoscimento da parte
degli stessi uffici di Polizia o comandi dei Carabinieri della
circolare in materia del 2004.
A maggior ragione, per la sempre migliore tutela della sicurezza
pubblica, ci si sarebbe aspettati che il Ministero dell’Interno, nel
redigere il Decreto 8 aprile 2016 sulla “disattivazione”, ne
semplificasse al massimo le procedure burocratiche, siccome
direttamente interessato ad invogliare il cittadino a detenere “simulacri”,
anziché armi da sparo efficienti.
Ciò, purtroppo, non è accaduto! Anzi, ad onor del vero, ciò è accaduto
in minima parte. Infatti l’art.5 del Regolamento ministeriale, relativo
alle “disposizioni procedurali e adempimenti per la disattivazione”,
ha riportato integralmente le “disposizioni procedurali”
indicate al punto 3 della circolare del 2002 sulla “demilitarizzazione”
e “disattivazione” (circolare ancora valida per la “demilitarizzazione”,
siccome non è stato emanato il relativo regolamento previsto dall’art.
13 bis della L. 110/75), con l’unica variante migliorativa che le
Questure devono provvedere “entro trenta giorni”, anziché “novanta”,
dalla “ricezione della comunicazione” dell’interessato, a “rendere
nota la presa d’atto”, ovvero il parere negativo, per procedere, o
meno, alla disattivazione.
Quindi, attualmente, la procedura burocratica è la seguente:
Considerato che il Regolamento UE non ha voluto
interferire, giustamente, sulle procedure burocratiche degli Stati
membri, se non limitatamente all’adozione del “modello di
certificato” di“disattivazione”, il Ministero ha perso
una buona occasione per fare di più per incentivare la
trasformazione di armi in “simulacri”.
Infatti, non si riesce a comprendere per quale motivazione
tecnico/giuridica debba essere interessato il Ministero dei beni e
delle attività culturali e per esso le rispettive Soprintendenze, anche
quando si voglia “disattivare” un’arma da sparo moderna
o, addirittura, ancora in produzione, perplessità evidenziata anche da
Mori nel commento al Regolamento ministeriale.
Se la finalità di tale segnalazione, come riportato nell’art. 5, comma
2, del Decreto ministeriale, è quella di salvaguardare l’integrità
delle armi “antiche, artistiche e rare di importanza storica”,
oppure di armi che pur non rientrando in queste ultime specie, possono
essere considerate “beni culturali”, non si comprende perché
non si sia lasciato spazio alla valutazione discrezionale degli uffici
di polizia interessati, in merito alla sottoposizione, o meno,
dell’arma all’esame/parere preventivo delle Soprintendenze.
Quindi, per risparmiare tempo, si sarebbe potuto seguire la procedura
già codificata nel Regolamento per le armi antiche (art. 6 D.M. 1982),
secondo la quale, in caso di dubbio sulla qualità di arma antica da
parte degli Uffici o Comandi interessati, i Questori devono interessare
le rispettive Soprintendenze.
Non vogliamo, né possiamo pensare che il Ministero non si fidi
della professionalità ed esperienza nel settore dei propri dipendenti,
nella loro capacità di valutare se un’arma, ancora in commercio, possa
essere disattivata senza attendere il nulla osta della
Soprintendenza.
Con tale sistema si sarebbe potuto snellire in modo significativo la
procedura burocratica in argomento, tenuto anche conto che
difficilmente sono presentate richieste di disattivazione di armi
antiche, per non incidere sul loro valore e siccome, per l’art. 5
della L. 36/90, la detenzione e la collezione di queste ultime è
libera, quando siano “inidonee a recare offesa per difetto
ineliminabile dei congegni di sparo”.
Il Ministero ha perso una buona occasione per fare di più, omettendo di
contemperare la propria esigenza di tutela della sicurezza pubblica con
quella del cittadino a detenere semplici “simulacri” di armi
senza complicazioni burocratiche.
Firenze 8 gennaio 2017 ANGELO VICARI
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